Testimonianze dal Giubileo dei Giovani 2025: le cucine da campo

Intervista Andrea Dilisa Giubileo 2025

Intervista ad Andrea Di Lisa, volontario di protezione civile per la Regione Lazio

Nel villaggio campale allestito all’interno della Città dello sport di Tor Vergata sono ospitati circa 4mila soccorritori, a cui ogni giorno la macchina organizzativa garantisce luoghi confortevoli in cui riposare, mense attrezzate per mangiare, e tutti i servizi necessari alla cura della persona. In questa intervista, Andrea ci parla, in particolare, di una nuova concezione di “cucina da campo”, sperimentata per la prima volta in occasione del Giubileo dei Giovani.

Raccontaci di te. Perché hai scelto di diventare volontario di protezione civile? 

Nella vita, sono un geologo applicato all'ingegneria. Divento volontario di protezione civile nel 2007, anno in cui stavo terminando il liceo. Credo che diventare volontario nasca dall'interno, dal fatto di voler aiutare il prossimo. Quando sei davanti alla televisione e vedi le emergenze nazionali, il sentimento che ti muove a voler dare una mano è quello che ti fa iscrivere a un'associazione di volontariato.

Qual è la tua attività per il Giubileo dei giovani?

Come volontario di protezione civile per la Regione Lazio sono responsabile dei progetti speciali e l’evento Giubileo rientra tra questi: non si era mai sperimentato prima l’allestimento di un’area di ammassamento soccorritori da 4000 posti letto, dotata di quattro mense da 800 posti l’una, dove una sola mensa è potenzialmente in grado di erogare, su tre turni, 2400 pasti. In questo senso, il Giubileo è una grande occasione per la protezione civile: a differenza delle emergenze, dove non c’è tempo e si possono applicare solo le procedure, questo evento ci offre la possibilità di programmare e di mettere in atto quanto pianificato, aggiustando gli aspetti che eventualmente non funzionano. Per le cucine da campo, ad esempio, abbiamo avuto il tempo di studiare un metodo innovativo, già applicato nell’ambito della ristorazione.

Come nasce e in cosa consiste questo metodo innovativo per le cucine da campo?

Ci siamo confrontati con biologi, chef professionisti e con tutte le figure professionali che ruotano intorno al mondo della ristorazione. Ci hanno invitato ad andare oltre a quello che è la cucina espressa: in genere, i tradizionali “moduli cucina” sono studiati per erogare un certo numero di pasti all’ora. Durante il sisma che ha colpito il Centro Italia nel 2016, dopo la seconda scossa di fine ottobre, abbiamo avuto un grande aumento dei soccorritori, quindi più pasti da erogare, e il servizio mensa è stato garantito con qualche difficoltà. Per poter andare oltre, il metodo che abbiamo sperimentato è quello delle preparazioni anticipate e dell'over produzione, cioè prepari un quantitativo maggiore di cibo, lo abbatti con gli abbattitori, e lo metti sottovuoto, stoccato all'interno delle celle.

Nell’area c’è una cucina da campo dedicata a chi ha allergie, intolleranze o esigenze particolari. Quando vi siete resi conto per la prima volta di questa necessità?

Durante l’emergenza sisma in Emilia-Romagna del 2012, la multietnicità dell’utenza ha creato l'esigenza di dover distribuire tipologie di pasto diverse. In particolare, nel campo di San Possidonio, in provincia di Modena, abbiamo dovuto differenziare le cucine da campo per poter rispettare le diete alimentari di ogni religione, ad esempio nel periodo del Ramadan.

Cosa ti aspetti da questa esperienza?

La stiamo vivendo come una grande esercitazione. Abbiamo avuto il tempo di programmare, testare questo nuovo metodo con grandi numeri. Quello che ne trarremo in futuro sarà un bagaglio di esperienza che in emergenza non avremmo mai potuto fare. In emergenza devi essere preparato. Questa è la parola chiave.

Un’ultima domanda prima di lasciarci: in questi giorni quale è stato il piatto più richiesto?

La parmigiana. Ce l'hanno chiesta anche il giorno successivo.